Si tratta di un vero paradosso: nel marzo 2014 più di 31.850 biomarcatori erano elencati nel database GOBIOM (GVK BIO Online Biomarker Database), ma solo 32 biomarcatori genomici validi erano inclusi nelle etichette dei farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti. E nessuno di questi era un test diagnostico in vitro multiplex basato su profili proteomici e genomici, un test che combina i valori di variabili multiple per produrre una classificazione paziente-specifica, un punteggio o un indice unici da utilizzare nella diagnosi o nel trattamento della malattia. Chiaramente, esistono numerosi potenziali biomarcatori, ma solo per pochi di essi sono già stati sviluppati strumenti utili dal punto di vista clinico.
Ciò rappresenta al tempo stesso una sfida e un’opportunità perché i biomarcatori hanno enormi potenzialità di ridefinire le modalità di sviluppo dei farmaci oncologici e di trattamento del cancro. I biomarcatori possono fare la differenza nell’eventuale approvazione di nuovi farmaci grazie alla riduzione dei tempi di sviluppo di composti attivi, all’accelerazione del processo decisionale riguardante ulteriori sviluppi dei composti, alla riduzione dei costi medi di sviluppo e alla produzione di composti con esiti migliori per i pazienti. Possono contribuire a determinare se un farmaco colpisce l’obiettivo e influisce sul pathway biologico.
I biomarcatori predittivi possono individuare i pazienti che hanno le maggiori probabilità di rispondere alla terapia o quelli che hanno minori probabilità di subire eventi avversi. I biomarcatori diagnostici possono contribuire a prevedere il corso della malattia indipendentemente da qualsiasi modalità di trattamento specifica e i marcatori di resistenza possono individuare i meccanismi che portano alla resistenza al farmaco acquisita. Infine, ma non meno rilevante, i biomarcatori possono essere importanti per dire per quale ragione un progetto fallisce, aiutare a formulare la strategia di follow-up o il progetto della sperimentazione e a guidare lo sviluppo di un farmaco, quindi a migliorare le probabilità di successo futuro.
Ma per avere successo in questo diviene chiaro che le organizzazioni di ricerca e sviluppo oncologici devono impegnarsi in una strategia riguardante i biomarcatori nelle primissime fasi dello sviluppo, quando per prima cosa vengono scelti gli obiettivi. Secondo noi, le strategie riguardanti i biomarcatori devono essere incluse nel piano di sviluppo iniziale per ogni composto e le sperimentazioni cliniche devono essere progettate per consentire la validazione della scoperta dei biomarcatori. Aspettare di scoprire i biomarcatori predittivi in fase 2 o validarli in fase 3 è semplicemente troppo tardi.
Lo sviluppo dei biomarcatori richiede inoltre di conoscere il rischio di malattia, la storia naturale e gli esiti. Per questo sono necessarie approfondite competenze terapeutiche e un allineamento strategico tra scoperta, sviluppo clinico (inclusi biomarcatori e medicina traslazionale) e funzioni commerciali.
Il lavoro per far progredire la scienza dei biomarcatori promette uno sviluppo di farmaci più rapido, efficiente ed economico. I maggiori beneficiari, comunque, sono i pazienti quando i biomarcatori possono essere utilizzati per aiutare a produrre terapie mirate e precise con significativi effetti sull’andamento della malattia e sulla loro vita.